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Flynn Effect luglio 25, 2012

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James Robert Flynn e’ uno psicologo americano, emigrato in Nuova Zelanda all’inizio degli anni Sessanta, che ha dedicato la vita allo studio dell’intelligenza umana.

Innanzitutto si e’ occupato di definirla come indipendente dalla cultura, sottolineando che la tipologia di pensiero richiesta per risolvere un problema di sopravvivenza nel deserto e’ molto diversa da quella richiesta nelle societa’ occidentali per raggiungere il successo, ma che entrambi i contesti richiedono senza dubbio intelligenza.

Quindi ha cercato di capire come fosse possibile quantificarla da una prospettiva oggettiva, analizzando i test di misurazione dell’IQ (Intelligence Quotient) e raffinandoli per eliminarne le maggiori distorsioni.

Conducendo serie costanti di test ha per prima cosa smontato le tesi di chi sosteneva la prevalenza di una base razziale rispetto ai punteggi raggiunti nei test IQ.
E mostrato come siano invece le variabili ambientali ad avere l’impatto maggiore sullo sviluppo dell’intelligenza umana.

Ma soprattutto si e’ imbattuto in un fenomeno che ha preso il nome di “Effetto Flynn”: un sostanziale e continuo aumento nei punteggi ai test d’intelligenza, registrato in varie parti del mondo.

Quando i test IQ sono standardizzati inizialmente, attraverso un campione di partecipanti, convenzionalmente alla media dei risultati viene attribuito un punteggio di 100, e la deviazione standard (che misura la dispersione del campione statistico) e’ fissata a 15 punti.
Periodicamente i test IQ vengono rivisti, utilizzando un campione di partecipanti di solito nato piu’ recentemente del campione precedente.
Quando il nuovo campione di partecipanti viene messo alla prova sui vecchi test, quasi sempre la media dei risultati raggiunge un punteggio significativamente piu’ alto di 100.
Per esempio i militari di leva olandesi, che partecipano ai test come parte del processo di arruolamento, sembrerebbero aver guadagnato 30 punti di IQ tra il 1952 e il 1982.

C’e’ discussione aperta sul significato di questa tendenza, ma l’opinione prevalente e’ che solo parzialmente si tratti di un aumento dell’intelligenza comunemente percepita.
Piuttosto il processo di scolarizzazione porta ad aumentare le abilita’ legate alla risoluzione di problemi, e di conseguenza ad aumentare il rendimento nei test.
Nello specifico le aree del cervello ad essere maggiormente stimolate sembrerebbero essere quelle legate alla memoria episodica, alla matematica ed alla semantica.

Se la stimolazione cognitiva e’ la base di quello che potremmo considerare il potenziale del capitale umano, quanta rilevanza acquistano l’istruzione pubblica e l’imprinting familiare?
Quante potenzialita’ restano inespresse perche’ non vengono sospinte nella direzione giusta e supportate adeguatamente?

Per contestualizzare la domanda, proviamo a considerare che negli Stati Uniti l’11% dei maschi bianchi sotto i 45 anni e’ defunto o disfunzionale, percentuale che esplode al 34% se consideriamo i maschi di colore.
Questa enorme sproporzione rispecchia i differenti livelli di reddito medio delle due classi in oggetto: possiamo quindi considerarla una riflessione diretta di quanto le condizioni economiche, base imprescindibile per l’istruzione, influiscano sulla realizzazione delle potenzialita’ del capitale umano.

Come tutte le tendenze, anche questa e’ in costante evoluzione: gli stessi test IQ sono stati condotti sui militari di leva Norvegesi, nel periodo che va dagli anni Cinquanta al 2002, e mostrano che nel corso degli anni Novanta l’aumento nei punteggi si e’ arrestato, e che potremmo persino star registrando i primi segni di un periodo di declino.
In numerosi paesi occidentali si registra negli ultimi anni la stessa inversione di tendenza, spesso in concomitanza con riforme dell’istruzione (figlie illegittime della crisi che ha investito l’Europa nell’ultima decade).

Spetta a noi decidere quanto vogliamo compensare queste “variabili ambientali” con le nostre scelte quotidiane, e contribuire alla costruzione di un mondo dove il capitale umano sia valorizzato e non disperso.

Cominciando dal regalare un libro ad un amico, e attraversando tutte le sfumature ed i discorsi che portano ad eleggere un rappresentate piuttosto che un altro, a comprare un prodotto piuttosto che il suo concorrente, a diffondere un’idea piuttosto che accettare passivamente lo status quo.

Guerrilla Curriculum luglio 22, 2012

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Di fronte alla mia scrivania passano i candidati in attesa di essere intervistati, nell´oscuro e poco accogliente ufficio accanto. Ciascuno di loro ha una storia da raccontare, e nel loro sguardo spesso scorgo una determinazione invidiabile.
O talvolta il vuoto cosmico, sostenuto al limite da incauta spavalderia, e di quando in quando da scollature encomiabili.
Che non influenzano nessuno, a volerla dire tutta: dopo un mese di colloqui per dieci ore giornaliere il selezionatore medio ha gia’ raggiunto un nirvana di atarassia e imperturbabilita’.
Ma torniamo per un attimo al famoso percorso di selezione..

Lavorando insieme a chi si occupa di recruiting, mi e´ capitato spesso di condividerne l´aneddottica davanti ad una tazza di caffe´, e constatare che alcuni CV sono semplicemente raccolta differenziata per il tritadocumenti.
Per ciascuna posizione aperta un´azienda riceve decine (talvolta centinaia) di curriculum, e non c´e´ possibilita´ che riesca ad intervistare tutti, quindi il criterio iniziale per lo screening dei CV e´ di eliminarne una quota, restringendo la rosa dei possibili candidati per lo step successivo.

Fermiamoci un attimo, e rovesciamo la prospettiva: non pensate al curriculum come ad un mezzo per trovare un lavoro, pensatelo come la scusa che il selezionatore sta aspettando per cliccare DELETE.
Non si tratta di innata malvagita´, semplicemente la prima impressione e´ essenziale, ed una presentazione poco curata non impressiona certo favorevolmente, semmai il contrario.
Almeno tecnicamente, un CV deve essere perfetto per sopravvivere!

Qualche esempio pratico.
In passato i curriculum erano inviati a mezzo posta, ed includevano una lettera che spiegava le ragioni per cui la missiva era stata inviata.
Oggi che la comunicazione avviene via email non c´e´ una ragione al mondo per cui occorra includere una lettera d´accompagnamento come attachment, e poi aggiungere un accompagnamento alla lettera d´accompagnamento nel corpo della mail!
Ancora peggio e´ inviare due documenti Word come attachment senza testo nella mail: il filtro antispam si occupa di atomizzarli e potete avere certezza che l´azienda non li vedra´ mai!

Invece spendete un po’ di tempo nella mail di presentazione, customizzandola per l’azienda verso cui state inviando il CV, e mostrando di conoscere sia il datore di lavoro che la posizione per la quale vi state candidando.

Siate unici e personali, sempre meglio non utilizzare paragrafi interi copiati da qualche oscuro manuale (o peggio dal web).
Se scrivete: “Sono costantemente orientato al lavoro in team, nutro una personale passione per l´accuratezza dei dettagli, lavoro meglio sotto pressione, e adoro relazionarmi con colleghi di ogni dipartimento aziendale”, nel migliore dei casi l´esaminatore pensera´ a voi come al Principe della Cazzata, nel peggiore che siete nati senza quella parte di cervello che genera il pensiero individuale.
Evitate le “comprovate abilita’”, siano relazionali, tecniche o spirituali: abbiamo tutti tutto da dimostrare.
Allo stesso modo lasciate perdere gli elenchi di skill generiche, che nella migliore delle ipotesi risulteranno ridondanti rispetto alle posizioni occupate.
Ottime invece le raccomandazioni di Linkedin, che sono sempre persuasive e mostrano che non per tutti i vostri colleghi, o capi, eravate simpatici come un mazzo di ortiche, e che strada facendo avete raccolto stima e riconoscimento.

E parlando di scrittura, vale la pena ricordare la regola base delle spaziature: dopo ogni elemento di punteggiatura esattamente uno spazio, non lo si colloca prima, non se ne lasciano due o tre a seguire.
Va da se´ che la medesima regola vale per la punteggiatura stessa: minimale e minimalista.
Tre punti escamativi per sottolineare un risultato importante non sono autoaffermazione, sono un rutto vergato su carta.
Tre o quattro puntini sospensivi non scatenano l´immaginazione di chi legge, evidenziano un blocco creativo, o al limite il gomito del tennista.

Usate uno stile diretto, ricordatevi che la maggior parte dei CV sono scorsi, non letti.
Per la stessa ragione, cercate di non superare le due pagine (se avete appena terminato gli studi con ogni probabilita’ una e’ sufficiente).
Se possibile inserite in prevalenza risultati (3-4 per ogni posizione): non una lista di responsabilita’ o esperienze, ma quello che la responsabilita’ e le esperienze vi hanno permesso di raggiungere.
Se avete ricevuto una promozione, e il vostro ruolo si e’ ampliato, vale la pena di evidenziarlo come una nuova posizione.

Meglio rileggere tutto il CV un paio di volte in piu’, controllando eventuali refusi e sistemando spaziature, allineamenti e impaginazione.

Sarebbe meglio scegliere con cura anche l’account email da cui viene inviato il curriculum: gli account anonimi o commerciali non influenzano troppo l’esaminatore (dato che molte persone li usano frequentemente), ma di sicuro non mandano lo stesso messaggio positivo di un indirizzo “alumni.something.edu”.
Al limite vale la pena di creare su Gmail un account apposito “nome.cognome”, che trasmetta un’immagine piu’ professionale di “i.rock@ego.com”.

E cercate di trasmettere di voi un’immagine il piu’ possibile personale e umana, perche’ per l’esaminatore e’ molto piu’ difficile cestinare la missiva di una persona che quella di un anonimo “candidato”.
L’obiettivo e’ risaltare come essere umano, piuttosto che come lista di competenze.

Se avete degli hobby interessanti o curiosi, fate in modo di accennarvi in coda al curriculum.
Nell’azienda di un amico arrivo’ un CV che citava tra gli interessi personali “ex-modella per Playboy”, se lo ritrovo’ sulla scrivania con una nota dell’esaminatore “Non ti ho mai chiesto nulla prima d’ora..”, e le porte dell’intervista si schiusero.
Personalmente sento lo stesso per un chitarrista o un illustratore (se poi e’ una ex-modella che suona e dipinge penserei ad uno scherzo, o all’intervento divino), e non mi tratterrei dall’ intervistarli anche solo per semplice curiosita’.

Chiaro che i requisiti per la posizione a cui aspirate devono esserci, ma considerate che il vostro CV molto probabilmente sara’ impilato con quello di altre dozzine di candidati con le stesse caratteristiche.
Raccontate una storia, lasciate un frammento che colpisca e susciti la curiosita’ di chi sta scorrendo i CV, e molto probabilmente vi sarete guadagnati l’accesso all’intervista.

“Negli ultimi tre anni ho pagato i conti della facolta’ suonando ai matrimoni nei weekend, e la sera in un locale equivoco frequentato prevalentemente da scambisti.
Non sono fisionomista e continuo a confondere le coppie, o forse davvero sono le stesse, e ormai fisso con imbarazzo anche il commercialista.
La posizione di analista contabile che la Vostra azienda offre mi sembra perfetta per incontrare finalmente un ambiente formale e strutturato, e portare anche stabilita’ alla mia vita sentimentale.”

E’ una grande storia (privata dell’eccesso di ironia, of course), e sapete perche’?
Perche’ non si puo’ leggerla senza pensare ad una persona in carne ed ossa, che magari ricorda persino un amico, ed ecco che la dinamica e’ cambiata.
Questa persona mi piace, mi ricorda quando cercavo di entrare in una grande azienda stanco di lavoretti saltuari, e semplicemente non riesco a pensare alle capacita’ finanziarie con lo stesso interesse.
Magari non sarete i piu’ qualificati per quel lavoro, ma e’ diventato assai piu’ difficile respingervi senza un pensiero.

Express Yourself luglio 12, 2012

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Vivere in un paese di cui non si padroneggia la lingua ha almeno due conseguenze immediate: accrescere oltre misura la sfacciataggine col gentil sesso, e prestare molta piu’ attenzione alla comunicazione non verbale, alle espressioni del viso spesso piu’ rivelatrici di molte parole.

L’esotica fanciulla che incrocia il nostro sguardo un istante, lo distoglie evitando il contatto visivo, increspa appena le labbra in un accenno di sorriso, e’  immediatamente riconoscibile: flirt!
D’altro canto facendo una nuova conoscenza, anche se la conversazione e’ stata perfettamente normale e amichevole, puo’  capitare di percepire sottili segnali per cui a posteriori commentare con tragica preveggenza “Non credo di piacerle”.

Il viso e’ uno strumento di comunicazione cosi’ straordinario che devono esserci delle regole che ne governino l’interpretazione.
Ma quali sono queste regole?
E saranno le stesse per tutti?

Negli anni Sessanta un giovane psicologo di San Fancisco, Paul Ekman, inizio’ a studiare le espressioni facciali, e si accorse che nessuno possedeva una risposta a queste domande.
L’argomento era stato trattato da Darwin in una delle sue ultime opere, “The expression of the emotions in man and animals”, nella quale affermava che tutti i mammiferi mostrano le emozioni in maniera inequivocabile.
Ma la psicologia successiva si era concentrata su cause ed effetti di queste emozioni, senza investigarne affatto l’espressione.

Quindi Paul comincio’ a viaggiare, Giappone, Brasile, Argentina, portando con se’ una serie di fotografie di uomini e donne il cui viso esprimeva una vasta gamma di emozioni: ovunque andasse le espressioni venivano inequivocabilmente riconosciute.
Tuttavia era possibile che questo accadesse perche’ le persone erano ormai ovunque sottoposte agli stessi stimoli culturali, e questo spinse Mr Ekman a fare un ulteriore tentativo: si diresse nella giungla piu’ impenetrabile in Papua Nuova Guinea, visitando i piu’ remoti villaggi.
E si accorse che persino li’  i componenti delle tribu’  indigene non avevano alcun problema nel riconoscere con sicurezza le differenti espressioni.
Ekman aveva appena stabilito che proprio le espressioni erano il prodotto universale dell’evoluzione.

Decise quindi di lavorare ad una tassonomia, per catalogare il repertorio essenziale delle emozioni umane.
L’impresa si rivelo’ piu’ complicata del previsto, richiese sette anni, e l’amicizia di un chirurgo che stimolasse con ago ed elettricita’  i muscoli recalcitranti a compiere uno specifico movimento.
“Niente affatto una bella esperienza”, ammise Paul in seguito.

Nel nostro viso sono possibili circa trecento combinazioni se consideriamo due muscoli, aggiungendone un terzo diventano quattromila.
Considerandone cinque ci sono circa diecimila possibili combinazioni.
La maggior parte di queste combinazioni ovviamente non significano nulla, sono il tipo di espressione buffa in cui si producono i bimbi annoiati.
Ma Ekman identifico’ circa tremila singole combinazioni associabili a specifiche emozioni.

E poi comincio’ a combinare tra loro le singole espressioni, per coprire l’intero spettro emotivo.
La felicita’, per pescare un esempio dai suoi scritti, e’ essenzialmente l’associarsi delle espressioni sei e dodici, contraendo i muscoli che sollevano le guance (orbicularis oculi, pars orbitalis), in combinazione con lo zigomatico maggiore, che solleva gli angoli delle labbra.

Alla fine Ekman raccolse tutte le sue osservazioni in un’unico catalogo, il “Facial Action Coding System”, che nel tempo e’ diventato la base per studi che spaziano dalla schizofrenia alle malattie cardiache.
Ed il punto di riferimento degli animatori di Pixar e Dreamworks.

L’ultimo tassello lo compose scoprendo che portare sul viso un’espressione provocava gli stessi effetti dell’emozione retrostante.
Sorridendo il suo corpo reagiva con gli stessi segnali biologici di quando provava una grande felicita’, mimando un’espressione di intensa rabbia il suo corpo generava gli stessi impulsi di quando l’irritazione era autentica.
Un’espressione poteva creare i medesimi effetti di un’emozione che non aveva scelto di sentire, positivi o negativi che fossero.

Quest’ultima scoperta puo’ sollevare un paio di corollari: per prima cosa sorridere puo’ davvero migliorare le nostre giornate, e in ultimo la nostra vita.
Ed in seconda battuta possiamo apprendere, con un pizzico di pratica e di volonta’, come comprendere meglio, o persino influenzare, la nostra affascinante interlocutrice esotica!

Mostrare curiosita’ e interesse puo’ di rimando suscitare curiosita’ e interesse?
Che sia stato finalmente svelato il segreto delle interazioni uomo-donna?

Per testare sul campo la teoria sono rientrato in casa, e con frizzantina premura ho cominciato a domandare ad una fanciulla indaffarata e distratta della sua giornata.
Mi ha guardato effettivamente incuriosita per un istante, per replicare infine con piglio indecifrabile: “Abbiamo venti minuti…”.

 

Ps. Per chi avesse voglia di approfondire l’argomento mi sento di consigliare “Blink” di Malcolm Gladwell, lettura affascinante e rivelatrice.

Scoiattolo.. luglio 5, 2012

Posted by brzo in Change!.
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Adoriamo le distrazioni, anche se puo´ non piacerci ammetterlo.
Come qualsiasi primate riceviamo una scarica di dopamina ogni volta che qualcosa cattura la nostra attenzione e ci attira nella sua direzione.
Oppure realmente pensate di controllare le email ogni manciata di minuti solo per spiccata professionalita´?

 Per ritrovare la concentrazione ed essere piu´ produttivi la mia personalissima soluzione e´: fare una cosa per volta e smettere di essere multitasking (e´ solo un´altra forma di distrazione!).

 Sarebbe ottimale organizzare tre-quattro momenti nella giornata in cui controllare le email, e lavorare lasciando spento il client quanto piu´ a lungo possibile.
Utilizzare il telefono: se un argomento richiede piu´ di un paio di email per essere discusso, una chiamata e´ decisamente piu´ rapida ed efficace.
E lavorare in intervalli di 60-90 minuti: concentrarsi consuma piu´ glucosio di qualsiasi attivita´ fisica, e di solito dopo 90 min le scorte di glucosio saranno al minimo (anche per questo i lunghi meeting sono provanti).

Meglio fare una pausa, se possibile muovendo qualche passo, e ricominciare appena in grado di rendere nuovamente al meglio!

Ok, per il sottoscritto muovere qualche passo e´ soprattutto la scusa per fumare una sigaretta..
O era il contrario?

Share luglio 4, 2012

Posted by brzo in On the air.
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Nel tentativo di volgere la mia ossessione di minimizzare gli sforzi inutili alla condivisione, vi segnalo due siti che si stanno rivelando pratici e funzionali:

Imgur: http://imgur.com/

Permette di condividere immagini senza richiedere alcun login, registrazione, o altre amenita’.

Wikisend: http://wikisend.com/

Permette la condivisione di file fino a 100Mb, anche lui senza trastullarsi in lungaggini.

Oltre alle diapositive delle vacanze caraibiche, usateli anche per diffondere idee, informazioni, pensieri e intuizioni.

What´s missing? luglio 3, 2012

Posted by brzo in Change!.
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In un progetto, nella somma dei diversi elementi necessari a perseguire un obiettivo, si puo´ sempre individuare una risorsa che scarseggia. Tempo, denaro, tecnica, sponsor, conoscenza..

Il primo passo dovrebbe sempre essere individuare la maggiore criticita´, e domandarsi cosa manca per fare di quel progetto la nostra opera d´arte.

Compensare la scarsita´ di risorse con le idee.

Perche´ il depilatore a cherosene approntato in garage non potrebbe essere la base di un business plan di successo?
Mancanza di una rete di distribuzione per raggiungere ogni primate in sovrappelo della costa orientale?
Allora proviamo ad immaginare un co-branding che associ il sensuale photoshoot di un gorilla glabro (se possibile appena uscito da un reality) alla fresca e avvolgente fragranza del napalm, e bussiamo alla porta di ogni produttore di banane sulla piazza.

La casalinga Sheree´ Thomas, madre single con un´idea di business che frullava persistente nel suo cotonatissimo capoccione, non aveva ne´ tempo ne´ risorse per perseguire il suo sogno di lanciare una start-up. Ma non smise ne´ di pensarci ne´ di crederci.

E quando si ritrovo´ a chiamare il customer service della compagnia che produce le strisce nasali Breath Right (sul perche´ possiamo solo fare sarcastiche congetture), e per puro caso all´altra cornetta capito´ uno dei Supervisori dell´area medica, Sheree´ ne approfitto´ per chiedere al medico in linea un parere circa il liquido che aveva prodotto, tentando di neutralizzare l´odore di tabacco e sigarette su vestiti e acconciatura. Catturo´ la sua attenzione e descrisse francamente il suo progetto, il suo funzionamento, la storia che l´aveva portata ad idearlo, e la mancanza di risorse che l´aveva indotta a riporre il progetto in un cassetto.

Un paio di trasferimenti di chiamata dopo Sheree´ era in linea con il Presidente della compagnia, ed in tre settimane firmava un contratto che prevedeva un investimento iniziale di 4 milioni di dollari, siglando  l´esclusiva per la produzione, marketing e distribuzione del Banish, frutto alchemico miscelato in un garage con l´aiuto del nonno, chimico in pensione.

Ad oggi riceve un assegno annuale a sei zeri.

Ps. Del nonno inventore invece si sono perse le tracce, ma c´e´ chi giura di averlo visto vagabondare ubriaco nei pressi della casa di Sheree´, svuotando a collo una caraffa di Banish..